V Pa, still crazy after all these years!

Ciao a tutti.

Cosa vuol dire V Pa? E cosa c’entra la canzone di Paul Simon?

Ma andiamo con ordine.

A Dicembre qualsiasi occasione è buona per una cena di Natale: con i colleghi, con i genitori dei compagni di classe dei figli, con i compagni di corsa mattutina, con la squadra di calcetto e chi più ne ha (di stomaco) più ne metta (di cibo in bocca). Ah, una precisazione: per “cena con la squadra di calcetto” intendo proprio quello e non eventuali relazioni extra-coniugali. Mi raccomando…

Le cene di classe sono più difficili da organizzare, soprattutto quando dalla fine della scuola è passato molto tempo. Fortunatamente nel nostro gruppo si può contare su un paio di persone di buona volontà che quest’anno, dopo un bel po’ di tempo, si sono presi la briga di convocare tutti i componenti.

Dopo un paio di “appelli” a vuoto (vabbé, chi non ha mai fatto “manca” a scuola alzi la mano) e qualche discussione sulla data finalmente ci si è accordati per giorno, ora e luogo.

Ci siamo così ritrovati a Mestre 34 anni dopo il nostro diploma in 12+1 su 17: praticamente quasi tutti.

Assenti: Mauro e Paolo, perché non più tra noi ma sempre presenti nei nostri ricordi; Piero, per assioma (visto che la matematica serve?) perché lui aveva il libretto scolastico per giustificare le presenze anziché le assenze, Michele per problemi di salute familiari, Dario per impegni lavorativi improvvisi e improrogabili (quando il “paese” chiama, lui risponde).

Presenti: tutti gli altri 12+1 cioè Giampaolo, rimasto nella nostra classe e continuando a farne parte nelle attività extra-scolastiche come le partite di calcio o basket e le gite, anche se arrivato al traguardo del diploma un anno dopo.

La serata è stata occasione per ritrovare anche Massimo, un compagno che avevamo dato per disperso e che invece abbiamo scoperto aver passato un periodo della sua vita addirittura in Polinesia per ritrovare se stesso e disintossicarsi dall’informatica.

E proprio pensando alla Polinesia e all’informatica che ho riflettuto sui nostri anni a scuola. Nel periodo in cui studiavamo noi l’informatica, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, ci consideravamo dei privilegiati rispetto agli altri studenti di istituti tecnici perché i computer erano “macchine” utilizzabili solo da pochi eletti che ne conoscevano tutti i meandri.

Sperry Rand Univac 9200
Il pannello di controllo dell’Univac 9200

Nel nostro caso poi il termine “meandri” calzava a pennello perché l’esemplare di computer utilizzato, uno Sperry Rand Univac 9200 era di dimensioni talmente grandi che occupava da solo quasi tutto il laboratorio di informatica; quando qualcosa non funzionava poi il tecnico più qualificato per metterci le mani era un elettricista, altro che programmatori! Le luci e il pannello di controllo di quel “mainframe” ci facevano immaginare di essere all’interno di film come “2001 – Odissea nello spazio” mentre i nostri professori ci rassicuravano che un diploma in informatica avrebbe proiettato la nostra classe verso un futuro di sicuro successo in ambito professionale.

Illusione o realtà (virtuale)?

Beh, ritrovandoci dopo oltre trent’anni e chiacchierando tra una birra e l’altra ridevamo invece del fatto che meno della metà ha mantenuto fino ai giorni nostri un impiego direttamente legato a questa materia “futuristica”. L’altra metà di “quella sporca dozzina + 1” invece ha felicemente trovato la propria strada nel giornalismo televisivo, l’insegnamento, il marketing, la consulenza fiscale, l’avvocatura, il mondo bancario-assicurativo, il retail e perfino nell’agricoltura.

Il motivo di questa diaspora? In una scuola dove la materia principale consisteva nel creare… Pardon, scrivere “programmi” dal nulla per automatizzare i processi più disparati essere dotati di una mente aperta, fantasiosa, inventiva e un po’ fuori dagli schemi era prerequisito fondamentale per frequentarla.

Una mente così aperta da essere i primi nel nostro istituto a sfidare i professori in una partita di basket (vinta, of course), o da farci organizzare una gita scolastica con insegnante al seguito “virtuale” in quanto d’accordo con noi nell’accompagnarci fino alle porte dell’Urbe per poi lasciarci libertà assoluta, purché non ci facessimo del male fisico o arrestare dalle forze dell’ordine.

Menti che hanno permesso a tutti noi di trovare una propria dimensione nel mondo del lavoro.

Menti che più che aperte si potrebbero definire folli, precorrendo la famosa frase “stay hungry, stay foolish” di Steve jobs.

E anche quella sera ci siamo ritrovati come se non fosse mai passato il tempo, se escludiamo qualche capello in meno e qualche chilo in più: lo spirito è rimasto lo stesso, goliardico, scherzoso, cameratesco… Insomma, “still crazy after all these years”, proprio come canta Paul Simon.

Alla prossima.

 

2 thoughts on “V Pa, still crazy after all these years!

  1. Rileggendo il post mi è sovvenuto un pensiero semi serio che ho avuto dopo che ci siamo salutati tutti.
    A parte che sin da quando alcuni di voi sono entrati in auto con me abbiamo iniziato a parlare creando subito quell’atmosfera e quella complicità che ci accomuna, ho sentito ed ho anche usato un termine più nelle ore passate assieme in quella serata che non in tutti gli anni precedenti.
    Penso che il ‘G’ sboro’ abbia sostituito, se non nelle nostre generazioni almeno nel nostro gruppo, la bestemmia che usavano i nostri antenati.
    Può essere definito un rafforzativo del pensiero, oppure un congiuntivo. Di sicuro ha perso il significato letterale per diventare altro e che contraddistingue un certo vulgo, se non una certa zona geografica.
    Sappiamo tutti che non è consono ed alla page usarla, ma quella sera eravamo liberi ed eravamo Noi (maiuscolo) e quindi abbiamo potuto usarlo nella sua pienezza.
    Senza timidezza.

    Bello così.

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    1. Ciao juraflint.
      In effetti per la nostra generazione è diventato un intercalare, come la bestemmia lo era purtroppo per i nostri “antenati”.
      Usarlo “in pienezza” fa un po’ sorridere però, no?
      Grazie comunque per la visita.

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