La vigilia del mio compleanno

Ciao a tutti.

Il 30 ottobre del 1974 per me sarebbe stato un giorno come tutti gli altri, a parte il fatto che il giorno dopo avrei compiuto 11 anni.

Qualcosa era già cambiato quell’anno: a inizio estate, dopo otto anni passati in mezzo alle suore tra asilo ed elementari e malgrado avessi superato la prova di ammissione a una scuola media privata (gestita da preti), avevo chiesto ai miei genitori di frequentare la scuola pubblica vicino a casa per andarci con gli amici che abitavano nella stessa via.

Il nuovo anno scolastico era iniziato così in un ambiente nuovo, dove avevo stretto nuove amicizie e conosciuto nuovi compagni si scuola.

Quando quel giorno tornai a casa da scuola anziché trovare il resto della famiglia in procinto di sedersi a tavola per pranzare scoprii che mia mamma aveva rallentato la preparazione in cucina e mia sorella continuava a giocare con le bambole mentre mio papà e mio fratello si erano seduti nella nostra camera da letto davanti alla televisione portatile (un Philco 12″ bianco e nero, immaginate che roba!) per assistere all’incontro del secolo tra due dei più famosi pesi massimi del pugilato di quel periodo: Muhammad Alì e George Foreman.

Io non sapevo nulla di questi due omoni di carnagione scura che se le sarebbero date di santa ragione; la boxe per me era legata ai nomi che mio padre recitava come un rosario: Benvenuti, Arcari, Lopopolo, Mazzinghi, Loi. Tutti i grandi pugili italiani che mio padre ammirava.

Quel giorno però si sarebbe disputato un incontro che aveva il sapore di uno scontro titanico. Alì tornava a combattere per il titolo dopo la squalifica impostagli per aver rifiutato il servizio militare in Vietnam. Il suo avversario, Foreman, era considerato uno dei pugili più potenti di sempre.

Malgrado fossero entrambe neri, Foreman incarnava la “speranza bianca” in quanto Alì era diventato troppo scomodo per l’establishment americano, politicamente e socialmente. Oltre a essersi schierato apertamente contro la guerra del Vietnam, atto che gli era costato la squalifica, il ritiro della cintura di campione mondiale e una condanna a cinque anni di carcere, si era convertito all’Islam.

Un altra particolarità di quel giorno fu che il match si sarebbe disputato a Kinshasa, in Congo, alle 2,30 del mattino. Un orario strano per un incontro di boxe però così il pubblico statunitense avrebbe potuto vederlo in “prime time”, in prima serata. Quegli anni però in Europa erano caratterizzati dalla famosa “austerity” e la RAI non aveva potuto offrire una cifra meritevole per ottenere in via del tutto eccezionale la diretta. Sarebbe stato eccezionale perché al tempo la programmazione televisiva terminava alle 23.30 e quindi un evento alle 2.30 del mattino sarebbe stato già eccezionale per l’orario.

L’incontro sarebbe stato trasmesso in differita serale, durante la trasmissione “Mercoledì sport”.

Per fortuna TeleCapodistria aveva pagato per la diretta e avrebbe riproposto la replica dell’incontro alle ore 13.00. Al tempo non c’erano le TV commerciali però TeleCapodistria era (è tuttora) un’emittente jugoslava che al tempo si poteva vedere perfettamente in alcune regioni del nord Italia senza installare alcun ripetitore aggiuntivo. Una pacchia per noi Veneti.

In ogni caso, l’unica cosa che fino a quel momento aveva reso la vigilia del mio compleanno diversa dagli altri giorni era che avremmo pranzato più tardi del solito perché c’era la boxe in tv. Io, non avendo alternative, mi sedetti con i maschi di casa a guardare l’incontro.

Quel combattimento fu memorabile; per me, abituato a vedere pochissimo di boxe e soprattutto pesi massimi, quei due pugili erano molto diversi dagli altri.

Foreman sembrava un panzer, che avanzava sempre e mulinava le braccia e i suoi pugni in continuazione verso Alì che se ne stava all’angolo appoggiato alle corde e cercava di schivarne – spesso riuscendoci – il più possibile. Quando questo non gli riusciva “accompagnava” il pugno in arrivo muovendo la testa nella direzione tracciata dal braccio dell’avversario. Nelle brevissime pause tra un colpo e l’altro Alì riusciva anche a irridere il suo rivale facendo quello che oggi viene chiamato “trash talking”, prendendo cioè in giro l’avversario.

La scena si ripeteva a ogni round dall’inizio dell’incontro: Alì alle corde, a invitare Foreman a colpirlo e lui che non si faceva pregare, bombardandolo di colpi al corpo e al viso.

All’ottavo round, la svolta.

Foreman era sfinito e faceva sempre più fatica a tenere Alì all’angolo e così, dopo due minuti e quarantasei secondi, Alì se ne uscì dall’angolo e con un gancio sinistro sollevo la testa di Foreman quanto bastò per sferrare un diretto che fece barcollare Foreman per un paio di secondi prima di stramazzare al tappeto.

L’arbitro cominciò a contare: quando arrivò al fatidico “10” Foreman non riuscì a rialzarsi e così Alì riconquistò la corona di campione del mondo dei pesi massimi che gli era stata portata via fuori dal ring.

Fecero vedere il replay di quell’uno-due una miriade di volte: riguardandoli attentamente si potè osservare come Alì, sopo il secondo pugno, osservò Foreman barcollare e poi cadere al tappeto senza colpirlo una terza volta, anche se il destro era stato “caricato” per sferrare il colpo finale. Pur nella violenza di quel combattimento in quel preciso momento i due pugili parevano quasi danzare sul ring.

Eravamo ancora ammirati dalla bellezza di quell’incontro quando dalla cucina si sentì un “Finito? Perchè è pronto in tavola”. Noi ci sedemmo a tavola, pranzammo continuando a parlarne e la giornata proseguì normalmente fino al giorno successivo, nuovamente diverso dagli altri perché festeggiai i miei primi 11 anni.

Io dopo quel giorno diventai un po’ più grande, Alì’ divenne “Il più grande”.

Alla prossima.

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